La proposta di questa tipica osteria di quartiere è di stampo strettamente tradizionale, con esiti abbastanza soddisfacenti. Frequentato prevalentemente da una clientela di affezionati, propone una cucina rassicurante e priva di sorprese, fatta di piatti conosciuti e sempre uguali a sé stessi, con porzioni abbondanti e sazianti, quasi sempre suscettibili di succulente scarpette finali per via degli abbondantissimi sughi. Saltando i pochissimi antipasti a base esclusivamente di prodotti non cucinati (salumi, mozzarella, burrata), abbiamo iniziato con tre grandi classici della cucina romanesca, tutti molto saporiti e di buona fattura: mezze maniche con sugo di coda alla vaccinara, amatriciana, tagliolini cacio e pepe. Tra i secondi buona la coda alla vaccinara, valide anche le polpette al sugo, assai meno convincenti gli involtini con guanciale e broccoletti, di sapore piatto, pesanti ed eccessivamente salati. Per chiudere, un’anonima panna cotta con topping di cioccolato, seguita da un espresso sovraestratto e dai toni di bruciato.
Gentile e alla mano.
Su richiesta ci è stata portata in tavola una bottiglia a norma di olio EVO della Sabina, blend di Frantoio, Leccino e Carboncella.
La carta dei vini è estremamente contenuta, con lo sfuso della casa e un ridotto numero di etichette laziali con ricarichi nella norma.
Vecchio stile, arredato con mobili di legno scuro, pareti chiare, un grande specchio, tavoli ravvicinati e sedute non comodissime, per un’atmosfera certamente non giovanile.
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