Consolida la sua posizione in guida con un piccolo incremento di voto il ricercato locale di Roberto Di Pinto, napoletano di nascita ma milanese d’adozione, che convince sempre chi si siede alla sua tavola sia per la capacità di combinare bene ingredienti e sapori, sia per la fantasia nell’allestimento dei piatti, sempre ricchi di colore. L’afflato “partenopeo” caratterizza lo stile di cucina dello chef ma non l’ingabbia in sterili dejà vu: se il percorso “Sine Tempore” (5 portate a 95€) ci porta dritti all’ombra del Vesuvio, la degustazione “Sine Confini” (8 portate a 125€) e il piccolo menù alla carta spaziano tra ingredienti diversi e materie prime di altri territori. La sensazione è quella di un giusto mix tra tradizione e progresso, con tecniche di cucina utilmente contaminate da altre culture e un occhio attento alla meticolosità orientale. La nostra cena, basata sul menù di tradizione, si è aperta con diversi amuse bouche, tra i quali abbiamo preferito il trancio di pizzetta fritta con friarielli e palamita, gustosissimo per aromi e consistenze. A seguire, un insolito ma interessante carciofo “cacio e ova”, cotto alla perfezione e in giusto equilibrio con gli altri ingredienti. Squisiti i ditalini ai ceci, arrabbiata di polpo e ajo blanco, dal perfetto contrasto tra acidità e piccantezza e con le differenti texture a stimolare lingua e palato: senza dubbio tra i piatti migliori della serata. Corretta e saporita, pur nella sua apparente semplicità, la spigola cruda e cotta all’acqua pazza con limone candito. Originale anche se non riuscitissimo il pre-dessert “scarpetta d’oro – omaggio a Maradona”, un bao al mate per accompagnare un dulce de leche al rococò di consistenza e temperatura di servizio poco convincenti, contrariamente al tris di assaggi, che rappresenta il vero e proprio dessert: un ottimo babà con crema, un’impeccabile caprese ma, soprattutto, un geniale “corno rosso” portafortuna che nei fatti è un semifreddo alla pastiera napoletana, semplicemente delizioso. Caffè lievemente sovraestratto ma con una buona persistenza aromatica.
Ben coordinati dall’esperto maître, i giovani addetti di sala non sbagliano un colpo: cordiali ma non invadenti, attenti alle esigenze dei clienti senza essere soffocanti.
Insieme al pane è stato servito un olio EVO siciliano, monovarietale Nocellara del Belice, specificamente imbottigliato per il ristorante e versato in un piattino dalla bottiglia a norma.
Una bella carta dei vini raccoglie le migliori proposte campane, anche di piccoli produttori; non mancano grandi etichette italiane e straniere, soprattutto francesi, con ricarichi abbastanza elevati. Discreta l’offerta alla mescita.
È un po’ fuori dal centro questo raffinato locale che ha una sistemazione minimal ma ben curata: interno ampio, tavoli tondi e ben distanziati e una piccola sala in fondo che può agevolmente diventare un privé. Apparecchiatura elegante, per lo più sui toni del bianco, per un’atmosfera complessiva molto piacevole.
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